Aspetti civilistici della nullità del matrimonio religioso: rapporti tra la sentenza ecclesiastica e l’eventuale delibazione
E’ bene premettere che anche l’ordinamento italiano (artt. 129 e 129-bis c.c.) prevede la possibilità di esperire l’azione per ottenere l’annullamento del matrimonio. L’azione è però prevista solo per ipotesi limitate e tassative; tale azione, inoltre, nella maggior parte dei casi non può più essere proposta una volta decorso un anno di coabitazione dalla celebrazione o dalla cessazione della causa di nullità.
Tralasciando gli altri aspetti civilistici della questione, analizzeremo alcune fattispecie riguardanti i rapporti tra le sentenze ecclesiastiche dichiarative della nullità matrimoniale e l’eventuale delibazione da parte della Corte d’Appello.
Qui sono analizzati i rapporti patrimoniali a seguito della eventuale delibazione ed esecutività della sentenza ecclesiastica nell’ordinamento italiano.
L’azione di delibazione delle sentenze ecclesiastiche è lo strumento giuridico predisposto per estendere l’efficacia della stesse all’ordinamento giuridico italiano.
Tale azione si prescrive nel termine ordinario di dieci anni, che decorre dal passaggio in giudicato della sentenza; legittimati a proporre la domanda sono le parti del procedimento ecclesiastico, ma non gli eredi del coniuge.
Il procedimento di delibazione si svolge innanzi alla Corte di Appello in cui è sito il comune in cui il matrimonio stesso è stato celebrato (competenza inderogabile) e se è ad iniziativa di una sola parte si instaura con citazione (a pena di nullità) cui segue il rito ordinario. In caso di iniziativa congiunta la domanda ha la forma del ricorso e la procedura segue il rito camerale.
La Corte di Appello, all’atto di rendere esecutiva la sentenza del Tribunale Ecclesiastico che pronuncia la nullità del matrimonio canonico trascritto agli effetti civili (matrimonio concordatario), non ha più adempimenti meramente formali, bensì il potere di verificare:
a) il rispetto dei principi sulla competenza del giudice;
b) la regolarità della citazione;
c) la legittimità della rappresentanza e della declaratoria di contumacia;
d) nonché che la sentenza medesima non contenga disposizioni contrarie all’ordine pubblico italiano.
Il controllo effettuato dalla Corte di Appello sulla citazione, sulla rappresentanza e sulla contumacia (b e c), va eseguito per accertare se risultino rispettati gli elementi essenziali del diritto di agire e di resistere nell’ambito dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale dello Stato (e che sono rispettati quando risulti che le parti abbiano avuto la garanzia sufficiente per provvedere alla propria difesa) e non anche per riscontrare se siano state puntualmente rispettate tutte le norme canoniche e se queste diano le stesse garanzie offerte dall’ordinamento giuridico italiano. E’ la parte (e non la Corte di Appello) che, al fine di provare o contestare la violazione dei diritti di difesa o altri principi di ordine pubblico, può produrre ogni documento che ritenga rilevante e quindi anche copie autentiche degli atti canonici.
La contrarietà all’ordine pubblico della sentenza ecclesiastica è rilevabile d’ufficio e non è previsto il riesame del merito della concreta vicenda matrimoniale nè può ripetersi sotto forma di controllo del fatto.
Costituisce contrarietà all’ordine pubblico italiano la lesione del principio della buona fede e dell’affidamento incolpevole come in materia di riserva mentale per esclusione di uno dei bona matrimonii non manifestata all’altro coniuge: la Cassazione è costante nel rifiutare la delibazione quando tale esclusione unilaterale o l’apposizione di una condizione alla validità del vincolo non siano state manifestate all’altro coniuge, anche ove siano state estrinsecate a terzi.
La sentenza può essere invece dichiarata esecutiva se l’esclusione dei bona matrimonii:
a) sia stata manifestata all’altro coniuge;
b) o questi l’abbia in concreto conosciuta;
c) anche de relato;
d) tanto se costui si sia limitato a prenderne atto;
e) quanto se abbia consentito positivamente a tale difformità tra volontà e dichiarazione;
f) a prescindere dall’esternazione anche delle conseguenze di quella esclusione sulla validità del vincolo, restando irrilevante l’apprezzamento da parte dell’altro coniuge delle conseguenze medesime.
Tuttavia anche la riserva mentale non manifestata permette la delibazione qualora essa sia stata esternata con elementi obbiettivi rivelatori tali da non essere percepiti dall’altro coniuge solo per sua grave negligenza da valutarsi in concreto.
Ove la sentenza ecclesiastica abbia inequivocabilmente accertato la sussistenza o l’insussistenza dell’indicata manifestazione all’altro coniuge, il giudice della delibazione non può riesaminare i fatti né pervenire a un convincimento diverso da quello del giudice ecclesiastico.
È comunque ammessa la delibazione chiesta dal coniuge in buona fede o quando questi aderisca alla richiesta dell’altro.
Può essere delibata la sentenza che pronuncia la nullità del matrimonio per metus reverentialis di uno dei coniugi nei confronti del genitore, ovvero nel caso di vis et metus mulieri concussi, anche ove la coazione psichica provenisse da terzi e non fosse conosciuta dall’altro coniuge.
Art. 129 c.c. – Diritti dei coniugi in buona fede
Quando le condizioni del matrimonio putativo si verificano rispetto ad ambedue i coniugi, il giudice può disporre a carico di uno di essi e per un periodo non superiore a tre anni l’obbligo di corrispondere somme periodiche di denaro, in proporzione alle sue sostanze, a favore dell’altro, ove questi non abbia adeguati redditi propri e non sia passato a nuove nozze.
Per i provvedimenti che il giudice adotta riguardo ai figli, si applica l’articolo 155.
Art. 129bis c.c. – Responsabilità del coniuge in mala fede e del terzo
Il coniuge al quale sia imputabile la nullità del matrimonio [117, 122] è tenuto a corrispondere all’altro coniuge in buona fede, qualora il matrimonio sia annullato, una congrua indennità, anche in mancanza di prova del danno sofferto [156]. L’indennità deve comunque comprendere una somma corrispondente al mantenimento per tre anni. È tenuto altresì a prestare gli alimenti al coniuge in buona fede, sempre che non vi siano altri obbligati [433].
Il terzo al quale sia imputabile la nullità del matrimonio è tenuto a corrispondere al coniuge in buona fede, se il matrimonio è annullato, l’indennità prevista nel comma precedente.
In ogni caso il terzo che abbia concorso con uno dei coniugi nel determinare la nullità del matrimonio è solidalmente responsabile con lo stesso per il pagamento dell’indennità.
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