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Principi di diritto penale canonico: il delitto

Principi di diritto penale canonico: il delitto

Il presupposto perché possa cominciare un processo penale è che, eventualmente a seguito di indagini, vengano raccolti elementi sufficienti per ritenere che sia stato commesso un fatto delittuoso: il delitto è, quindi, un fatto umano (attivo o passivo cui si lega un dato evento), che prescinde dalle connotazioni psicologiche (colpa e dolo).
Tale fatto umano, inoltre, per essere penalmente rilevante deve essere tipico, deve cioè essere stato tipizzato dal Legislatore come tale, e quindi punibile.
Tuttavia non ogni “fatto umano tipico” è in contrasto con la normativa canonica. Per tale motivo il fatto umano tipico deve essere anche antigiuridico, cioé contra ius: contro l’ordinamento canonico.
È il canone 1321 del CJC a delineare che il delitto è una violazione esterna e “gravemente imputabile” per dolo o colpa della legge o del precetto: e quindi a rilevare oltre che il nesso causale è anche quello psichico tra il fatto illecito ed il suo autore. Tale nesso psichico può assumere le forme del dolo e quella della colpa.
Nell’ordinamento ecclesiale non si può dimenticare che l’instaurazione di un procedimento penale costituisce pur sempre l’extrema ratio, dovendosi verificare dapprima la possibilità di fare ricorso ad espedienti pastorali. Come affermato dalla dottrina in una comunità come la Chiesa il processo non è la situazione ideale dei conflitti; dal punto di vista ecclesiale, il processo è un male, una situazione patologica che danneggia la comunione.

Ricordiamo le parole di Papa Paolo VI in un’Allocuzione alla Rota Romana: «lo stile pastorale, l’afflato di carità, lo spirito di comprensione mirano precisamente a questo. Non la legge per la legge, dunque, non il giudizio per il giudizio, ma legge e giudizio a servizio della verità, della giustizia, della pazienza e della carità» (Paolo VI, Allocuzione alla Rota Romana (29.01.1971), in AAS 63 (1971), p. 140).
Giocoforza, quindi, come riconosciuto dalla canonistica, il processo penale canonico richiede che la verità dei fatti, così come accertata dal giudice, coincida con la realtà obiettiva degli stessi, sì che vi sia piena consonanza tra di esse in funzione della realizzazione di una giustizia veramente degna di questo nome: si vuole, in altri termini, evitare che la verità e la giustizia reale vengano sacrificate per tutelare il rigore delle forme. Ciò allora esclude in via assoluta l’imporsi di una verità formale, che soddisfi unicamente l’ordo exterior – finalità necessaria e sufficiente per l’ordinamento statuale – ma che esige la verità sostanziale, espressione dell’ordo interior, che adegua la coscienza con l’agire esteriorizzato.

Canone 1321 CJC
§ 1. Nessuno è punito, se la violazione esterna della legge o del precetto da lui commessa non sia gravemente imputabile per dolo o per colpa.
§ 2. E’ tenuto alla pena stabilita da una legge o da un precetto, chi deliberatamente violò la legge o il precetto; chi poi lo fece per omissione della debita diligenza non è punito, salvo che la legge o il precetto non dispongano altrimenti.
§ 3. Posta la violazione esterna l’imputabilità si presume, salvo che non risulti altrimenti.

1 Comment

Johne575
maggio 30, 2014 @ 01:32

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