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Gli accordi di convivenza: fondamenti (parte seconda)

Gli accordi di convivenza: fondamenti (parte seconda)

Occorre identificare quali siano i limiti e quale sia l’estensione massima degli accordi di convivenza.
Tale difficoltà non è poi tanto differente da quelle che gli operatori del diritto affrontano ogni giorno nell’ambito della propria attività ermeneutica trattandosi di capire fino a che punto si possa spingere l’autonomia negoziale delle parti e quali siano i diritti indisponibili sui quali le parti non possono incidere. Si tratta anche di comprendere se ed entro quali limiti le norme dettate dal legislatore in campo contrattuale siano adattabili ed applicabili ad una materia che senza dubbio presenta aspetti peculiari rispetto ad un rapporto contrattuale strettamente inteso.

È fuori di dubbio che tutta la materia relativa all’affidamento dei figli, all’educazione e al mantenimento degli stessi è completamente sottratta all’autonomia negoziale delle parti: qualunque tipo di clausola che le parti intendessero inserire in un contratto di convivenza, diretta a disciplinare tale materia, sarebbe priva di effetto o addirittura nulla, ove ne scaturisse un pregiudizio potenziale o effettivo per i figli o emergesse un contrasto con disposizioni dettate a tutela dei minori.
L’autonomia negoziale della coppia di fatto in materia di affidamento dei minori ed esercizio della potestà, si può esclusivamente manifestare sotto forma di accordo, che le parti al momento della cessazione della convivenza, sottopongono al giudice minorile sotto forma di ricorso, al fine di ottenerne un sorta di “omologa”, al ricorrerne dei presupposti. Si tratta della stessa forma di autonomia negoziale riconosciuta ai coniugi, nel caso in cui decidano di separarsi mediante un ricorso per separazione consensuale.
Definire un accordo di convivenza come “contratto” evidenzia un altro aspetto: la natura contrattuale dell’accordo e la sua appartenenza alla categoria dei contratti atipici, che le parti possono stipulare, purché tali contratti siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela (articolo 1322 co. 2 c.c.).
Quindi, se definiamo contratto l’accordo tra i conviventi, dobbiamo necessariamente dedurre che da esso nascono delle obbligazioni giuridiche e che esso ha forza di legge tra le parti. Ma ne ricaviamo anche un altro principio e cioè, quello della necessità che le disposizioni ivi inserite e le obbligazioni dedotte abbiano natura direttamente o indirettamente patrimoniale.
Questo comporta necessariamente l’impossibilità o l’inutilità di inserire in un contratto di convivenza, disposizioni che non abbiano una valenza patrimoniale; ci si riferisce, in particolare, all’obbligo di fedeltà, di coabitazione, di professare una determinata fede, ecc.
L’obbligazione di fedeltà oltre a non avere il carattere della patrimonialità, non sarebbe ammissibile anche per altri motivi, tra cui l’impossibilità di prevedere una sanzione in caso di inadempimento ed il contrasto di una siffatta obbligazione, con principi di rango superiore, anche sotto il profilo Costituzionale, tra cui il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero e la propria libertà sessuale.
Stesso discorso per l’obbligo di coabitazione il quale, pur essendo uno dei presupposti ed elementi essenziali della convivenza, non potrebbe essere previsto all’interno di un contratto quale obbligo specifico e ciò, da una parte per la mancanza del requisito della patrimonialità e dall’altra, perché tale clausola si porrebbe in contratto con diritti di rango costituzionale tra cui quello relativo alla libertà di circolazione e soggiorno (articolo 16). Oltretutto, la coabitazione, non può essere inserita quale obbligo specifico, in quanto essa rappresenta uno dei requisiti essenziali del contratto, in mancanza o al venir meno della quale, la convivenza si scioglie.
Allo stesso modo sarebbe affetta da nullità una clausola che impedisse o limitasse in qualche modo la libertà delle parti di interrompere unilateralmente la convivenza. Al contrario, se si imposta il contratto di convivenza come contratto a tempo determinato, non sarà possibile il recesso unilaterale.

Art. 1322 c.c. – Autonomia contrattuale
Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge [Cost. 41] (e dalle norme corporative).
Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare [1470 ss], purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.

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