Aspetti civilistici della nullità del matrimonio religioso: rapporti patrimoniali dopo la delibazione ed esecutività della sentenza ecclesiastica
La Corte di Appello in sede di delibazione della sentenza del Tribunale ecclesiastico dichiarativa della nullità del matrimonio religioso, ha il potere di disporre in favore del coniuge in buona fede, solo in via provvisoria, una congrua indennità e la corresponsione di alimenti. Ogni decisione definitiva in ordine al diritto del predetto coniuge (quello in buona fede) ad ottenere la congrua indennità e gli alimenti, ed alla determinazione della misura di entrambi, resta riservata al giudice competente secondo le norme processuali generali (Cass. sent. n. 8477 del 1992).
Va da sè che l’indennizzo di cui sopra è a carico del coniuge “imputabile”, cioè di quello che abbia contratto il matrimonio conoscendo (o dovendo conoscere) il vizio che lo inficiava.
Pertanto in caso, ad es., di matrimonio ecclesiastico nullo per amentia, deve negarsi la possibilità di fare ricorso ai criteri sopra indicati (disciplinati normativamente dall’art. 129-bis del cod. civ.) ove si tratti di liquidare un assegno mensile a carico del coniuge per la cui amentia, appunto, sia stata rilevata in sede ecclesiastica la nullità del vincolo (Cass. 140/88).
Vi sono alcune decisioni della Ia sez. civile della Corte di Cassazione in merito alla problematica relativa al rapporto di pregiudizialità tra il giudizio di annullamento canonico e quello riguardante la cessazione degli effetti civili: la Corte ha affermato che il giudicato di divorzio non è di ostacolo alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio (Sent. 12144/93).
Se il giudizio civile (di divorzio) è ancora pendente ciò impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica. Il giudizio civile viene, invece, paralizzato solo dalla già avvenuta delibazione della sentenza ecclesiastica (Cass. 3345/97).
Art. 129bis c.c. – Responsabilità del coniuge in mala fede e del terzo
Il coniuge al quale sia imputabile la nullità del matrimonio [117, 122] è tenuto a corrispondere all’altro coniuge in buona fede, qualora il matrimonio sia annullato, una congrua indennità, anche in mancanza di prova del danno sofferto [156]. L’indennità deve comunque comprendere una somma corrispondente al mantenimento per tre anni. È tenuto altresì a prestare gli alimenti al coniuge in buona fede, sempre che non vi siano altri obbligati [433].
Il terzo al quale sia imputabile la nullità del matrimonio è tenuto a corrispondere al coniuge in buona fede, se il matrimonio è annullato, l’indennità prevista nel comma precedente.
In ogni caso il terzo che abbia concorso con uno dei coniugi nel determinare la nullità del matrimonio è solidalmente responsabile con lo stesso per il pagamento dell’indennità.
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